Lo spirito del blog - La vita: commedia o tragedia?

Questione di inquadrature. La commedia è la vita in campo lungo e la tragedia la vita in primo piano. Se inquadri da lontano un uomo che cammina per strada e scivola su una buccia di banana, è divertente. Ma se ti avvicini, non è più divertente perchè si vede il dolore... Per comprendere la mia vita e quella altrui mi sforzo di osservare sempre attraverso la doppia inquadratura... Così quando prendi qualcosa troppo sul serio riesci magari anche a riderne e a conservare il buon umore... E invece quando prendi qualcosa troppo poco sul serio scopri che devi fermarti e comprenderla...

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mercoledì 9 dicembre 2009

La vita è una passeggiata... 2

A completamento del post precedente...


giovedì 19 novembre 2009

Vitadaprof

Prof finalmente oggi pomeriggio posso giocare alla play!
E come mai?
Perché domani non abbiamo le sue materie...

***
Prof può suggerirmi un libro da leggere, ho finito quello che ci aveva assegnato!

***
Mentre spiego alcuni aspetti della vita di Manzoni, con l'ausilio di ritratti dell'autore.
Prof ma lei è uguale a Manzoni!

***

Prof lei ci disprezza!
Non è vero!
Sì prof, quando l'angolo destro della bocca si inarca verso l'alto...
Davvero?
Sì, è appena successo.
...

***
Prof lei dovrebbe leggere meno poesia... e guardare più spesso il grande fratello!

venerdì 27 marzo 2009

Per antonomasia

Questa figura retorica serve a sostituire un nome proprio con un nome comune che viene elevato a modello e simbolo di quello stesso nome o viceversa: l'Apostolo (per S.Paolo), il divino Poeta (per Dante), un giuda (per indicare un traditore), un dongiovanni (per indicare un corteggiatore spregiudicato).
Ci sono alcune "antonomasie" che non possiamo non prendere in considerazione, con preoccupazione linguistica, non moraleggiante...

La Casa: è un posto dove una serie di personaggi non ben identificati (la maggiorata, il cieco, l'idraulico, il rumeno...) non fanno niente dalla mattina alla sera.
La Fattoria: un tempo era piena di animali ("nella vecchia fattoria..." abbiamo cantato tutti) ora (la nuova fattoria) è piena di uomini, che fanno il verso agli animali e i versi degli animali.
L'Isola: un tempo era Itaca, un luogo dove qualcuno cerca di tornare nella speranza di riabbracciare i propri cari, ora è un posto dove trovi un gruppo di cretini che cercano di diventare famosi, facendo finta (al contrario della Casa) di fare qualcosa dalla mattina alla sera.
Amici: sono persone che, cercando di dimostrare di saper fare qualcosa, si scannano tra loro al ghigno compiaciuto di un terzo (preferibilmente una terza con voce da uomo) che li aizza.
Uomini e donne: sono esponenti del genere umano che si scannano in pubblico al ghigno del già citato terzo, nella speranza di accoppiarsi.

Io ancora a quei nomi associo certe emozioni, certi ricordi, certe presenze. Reali.
Cosa rappresenteranno molto presto sui loro fogli di carta i bambini quando la maestra chiederà loro di disegnare una casa, un'isola, una fattoria, un amico, un uomo, una donna?
Preferiamo il reality alla realtà.
La seconda è così ripetitiva, banale e scontata...

mercoledì 25 marzo 2009

Come la tv vede noi...

Un regista si è "divertito" a filmare i volti di alcuni bambini seduti davanti ad un programma televisivo. Le nostre reazioni sono simili quando stiamo davanti al computer?
Non lo so, so solo che questi volti mi preoccupano...


giovedì 12 marzo 2009

Di chi è la colpa?

Ho proposto un tema che prendeva spunto da un articolo di Alberoni apparso sul Corriere, nel quale si suggeriva una moratoria di due mesi all'anno da internet, chat, ipod... per i giovani, che altrimenti diventano incapaci di rapportarsi alla realtà e di creare dall'interno, come si diceva nel post precedente. Mi ha colpito la veemente risposta degli alunni nei loro scritti. Ecco alcuni passi significativi che mi hanno fatto riflettere:

"Se ci deve essere però una disintossicazione dai mezzi multimediali, dovrebbero seguirla sia giovani che adulti. Quelli che hanno da ridire sulla tecnologia e sulla comunicazione, infatti, sono i primi ad usare internet per ore e a vivere in simbiosi con il telefonino. Per questo il motivo della nostra dipendenza è semplice: i nostri genitori fanno altrettanto.
Noi non abbiamo il potere di decidere come essere cresciuti. Quindi sarà davvero colpa nostra se vogliamo evadere dalla realtà?".

"E' l'invidia che provano gli adulti che li porta a diffamare la nostra immaginazione. Non riescono a distrarsi, non hanno tempo e nemmeno voglia di provare. Ma in fondo, quando non li vediamo, sono i primi a voler scappare, solo per qualche minuto, dalla realtà e provano invidia; rimpiangono i tempi in cui anche loro, quando potevano, se ne fregavano del mondo".

"Una moratoria periodica? No, non cambierebbe le cose. Anche senza internet, cellulari e discoteche, i giovani sono talmente creativi, da potersi divertire lo stesso. Una soluzione? Cercare di far placare le acque tra figli e genitori e far capire a questi ultimi che quando si dà alla luce un figlio, bisogna assumersi le proprie responsabilità. Un figlio è un essere vivente che prova emozioni e sentimenti e, se viene lasciato a se stesso, cadrà in un vortice nero dal quale sarà difficile tirarlo fuori".

domenica 8 febbraio 2009

Felice ma non troppo...

Tutti vogliono essere felici. Ogni creatura sulla faccia della terra tende alla felicità.
E allora da come riempiamo questo termine ormai stanchissimo dipende molto, troppo.
La felicità nella nostra epoca è un concetto da poter misurare. Quantitativo. La felicità non misurabile non esiste. Allora sostituiamo con un altro termine la felicità misurabile, quantitativa: successo. Oggi è felice o crede di poterlo essere chi ha successo. Il successo è massimamente quantificabile, misurabile, in termini di share, di pubblico. Per questo la tv è il luogo principe della felicità... Quanti leggono il mio blog? Pochi, molti. Da questo dipende la mia felicità. Quanti sguardi provoca il mio vestito, la mia bellezza? Quanti applausi la mia performance? Quanto guadagni il mio lavoro?
Di conseguenza, in base alla quantità, si pensa di poter determinare: intelligenza, bellezza, bravura, ispirazione... di una persona. Ma la quantità è frutto dello sforzo, della fatica, della tensione produttiva, della lotta per superare gli altri. Allora la felicità si riduce allo sforzo prodotto, alla tensione. Ci si concentra sullo sforzo per ottenere e, senza accorgersene, ci si perde la verità delle cose, la loro semplice pienezza: non scriviamo libri, non lavoriamo, non ci facciamo belli, per tenere alto il consenso attorno a noi. Questo avvelena libri, lavoro, bellezza... Scriviamo libri, lavoriamo, ci facciamo belli per amore ai libri al lavoro alla bellezza e per amore alle persone che serviamo con i nostri libri, con il nostro lavoro, con la nostra bellezza. Solo così nei casi di fallimento, insuccesso, bancarotta rimarremo sereni. Perché anche se quelle cose ci vengono tolte la felicità non dipende da esse, ma dall'amore che ci mettiamo: il bene che compiamo fa la felicità, non lo sforzo.
Fallimento e felicità sono compatibili. Tutta questione d'amore. Come sempre...

***
C'è una felicità oscura e una felicità chiara, ma l'uomo incapace di assaporare la felicità oscura, non è nenache capace di assaporare quella chiara
G. von Le Fort

mercoledì 21 gennaio 2009

L'uomo che cadde sulla terra

Oggi ho fatto lezione su questo simpatico articolo apparso qualche settimana fa. Ve lo giro perché merita la lettura.

"Gli spot della classe dirigente"
di R.Chiaberge
(supplemento culturale del Sole 24ore del 21.09.08)

Una sera come tante davanti alla tivù, aspettando il Tg1 delle otto. Dopo il quiz di Carlo Conti parte la raffica degli spot. «Mi sento gonfia» geme una ragazza ingrugnata, accarezzandosi la pancia. «Anche io avevo l'intestino pigro» la conforta l'amica, flessuosa e sorridente. «Ma ora prendo Fibrivia, lo Yogurt con Bifidus. Prova anche tu. Un barattolo di Fibrivia al mattino e in quindici giorni ritrovi la tua naturale regolarità». Stacchetto, e alle due bionde con problemi di stitichezza subentra una famigliola riunita intorno al desco. La mamma vuota nella pentola una confezione di pasta: «Non si può aspettare. Le nuove Lumacotte cuociono in sei minuti!». Esultanza generale. Altro stacchetto, ed ecco l'acqua minerale Sgorghina, che scendendo nelle viscere «lava via i batteri cattivi». Si resta in cucina anche nello spot successivo, dove una voce maschile esalta le virtù del burro Panzanò: «Il 75% di colesterolo in meno nel vostro frigo». Poi è il turno di Del Piero, con l'ex-miss e la suora che fanno «tanta plin-plin». «Puliti dentro e belli fuori». E infine, dulcis in fundo, il primo piano di una tazza (non di quelle dove si beve): un flacone di plastica spruzza un liquido blu, e la ceramica torna candida e splendente. Il ciclo si è compiuto, e siamo pronti per digerire le cattive notizie del telegiornale, i tonfi delle Borse, le bizze dei piloti, l'ultimo attentato a Islamabad, l'ubriaco al volante che travolge la pensionata.

Se un marziano cercasse di capire gli italiani dagli spot televisivi, come faceva David Bowie in quel magnifico film, «L'uomo che cadde sulla terra», ne ricaverebbe l'impressione di un popolo intento solo a mangiare e andare di corpo. Tra yogurt miracolosi, rotoloni che non finiscono mai, ragù con sapore di ragù, detersivi per lavare i contenitori del ragù e dentifrici che garantiscono una bocca pulita al 100% dalle tracce di ragù, sembriamo afflitti da un'ossessione per tutto ciò che avviene nel nostro tubo digerente, dalla deglutizione fino allo smaltimento finale. Pare che la nostra intera esistenza si svolga nel perimetro compreso tra la cucina e il bagno, con una tappa in sala da pranzo (sempre ovviamente, col cellulare acceso a portata di mano).

Ora, che grazie al carobenzina e al tracollo dell'Alitalia la mobilità territoriale si sia ridotta ai minimi termini, è comprensibile. Ma se ci resta soltanto la mobilità intestinale, allora ha ragione chi dice che siamo finiti nella «plon-plon» fino al collo, e nessuno spot ci può salvare.