Lo spirito del blog - La vita: commedia o tragedia?

Questione di inquadrature. La commedia è la vita in campo lungo e la tragedia la vita in primo piano. Se inquadri da lontano un uomo che cammina per strada e scivola su una buccia di banana, è divertente. Ma se ti avvicini, non è più divertente perchè si vede il dolore... Per comprendere la mia vita e quella altrui mi sforzo di osservare sempre attraverso la doppia inquadratura... Così quando prendi qualcosa troppo sul serio riesci magari anche a riderne e a conservare il buon umore... E invece quando prendi qualcosa troppo poco sul serio scopri che devi fermarti e comprenderla...

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lunedì 31 marzo 2008

Sconforto

Frammenti di conversazione su MSN con un ex-alunno studioso:

"buonasera prof come sta? è da tanto ke nn la vedo in linea"
"molto bene e tu?"
"io diciamo tt ok e quando ci viene a trovare?"
"non lo so vedremo, e tu come mai sei poco convinto?"
"a scuola nn sono + convinto
ormai ci sono dei prof ke mettono i voti a caso
pensi ke abbiamo il prof di … ke mette i voti secondo le simpatie
se uno fa una battuta ke gli piace gli mette dei +
poi i compiti secondo noi nn li legge neanche
oggi ci ha riportato il compito
e secondo me nn l'ha nemmeno corretto
xke nn c'era un segno"
"E perché non glielo dite?"
"ma infatti è una cosa scandalosa e neanche possiamo protestare
e se lo contesti è capace di mettere direttamente il debito.
xke nn esiste dialogo cn lui, se lo contrasti si vendica
il giorno dopo ti interroga su cose ke nn aveva mai spiegato e assegnato
ormai ci abbiamo rinunciato"

"Ormai ci abbiamo rinunciato"
Questa è l'ora buia, l'ora della solitudine, l'ora in cui ti dici che è tutto inutile, l'ora di andare a dormire...

domenica 30 marzo 2008

FantaVersione 2

Sono le 7.00 del mattino. Piove. Suona la sveglia. ALUNNO (e molti come lui) si alza (o almeno ci prova) e, mentre si trascina lentamente verso la doccia, cerca di ricordare cosa lo aspetta di terribile in quella giornata già di per sé terribile; e quando si materializza nella sua mente ancora sconvolta dal sonno l’immagine di PROFESSORE (di greco e latino), con il suo ghigno beffardo, il senso di catastrofe e frustrazione è totale. Tornare a letto sarebbe la soluzione migliore, tanto più perchè quella mattina c’è la versione in classe. La terribile prova del trasformare un testo di una lingua ormai morta in un testo di una lingua viva. Ma fuggire non è possibile. La scuola è dell’obbligo. Una domanda allora si dipinge sul volto dell’assonnato bipede preso in trappola: perché lo devo fare?
A questa domanda non viene data risposta. E questo silenzio aumenta il senso di frustrazione. La frustrazione si trasforma rapidamente in rabbia e desiderio di vendetta. E PROFESSORE che avrebbe tradotto così il brano assegnato, dal titolo profetico “Attenti all’asino”…

Un asino avendo calpestato una spina rimane zoppo. Imbattendosi in un lupo gli dice: “O lupo, vedi che muoio di dolore e i corvi e gli avvoltoi mi divoreranno. Ma io preferisco diventare tuo pasto. Ti chiedo però un solo favore, estrai prima la spina dalla mia zampa”. Il lupo persuaso dal discorso, con i denti appuntiti strappa via la spina. L’asino liberatosi del dolore, avendo scalciato il lupo a bocca aperta fugge, spezzandogli muso, fronte e denti. Egli si lamentava dicendo: “Ahimè, patisco il giusto, io che essendo macellaio, poc’anzi volevo diventare veterinario”.

… (dicevo) PROFESSORE si vede restituita la sua colpa, di torturare il povero ALUNNO, in termini di pugnalata verbale, di lento e progressivo dissanguamento della lingua antica e moderna: una risposta coerente alla tortura che egli infligge al povero innocente, e così legge le righe di ALUNNO, la peggiore delle lettere di minaccia di morte:

Un asino avendo calpestato una palizzata e avendo mangiato un uccello, nacque zoppo. Imbattendosi in un lupo gli disse: “O lupo, muoio dalla mia sofferenza e mi cibo di piccoli corvi e nidi d’avvoltoi. Ma avevo capito che sono nato pranzo per te, tu stesso donami una grazia, togli dapprima l’uccello a me con l’artiglio. Il lupo si convinse alle parole profonde e lo esortò a dare l’addio alla palizzata e abilmente tolse l’uccello a questo. Ma l’asino straziato dalla sofferenza, battute le zampe, essendo caduto sul lupo e gridando contro il lupo, si sciolse per il dolore. Esso gemette dicendo: “Ahimè ho ricevuto l’ospitalità da quel cuoco, il quale dal primo momento voleva conoscermi”.

Allora sul volto di PROFESSORE si dipinge la stessa domanda di ALUNNO: Ma chi me lo fa fare? E anche questa volta nessuno risponde, tutto tace…

Chi avrà il coraggio di interrompere questa spirale di violenza?

venerdì 28 marzo 2008

Gelato e alunni

Ore 15.30. Squilla il cellulare. Un alunno. Ho dimenticato che avevo appuntamento per prendere un gelato con alcuni ragazzi conosciuti durante una supplenza. Ed eccomi là dopo pochi minuti grazie al passaggio di una persona cara con cui stavo chiacchierando talmente bene che mi ero dimenticato di tutto il resto.
Erano in 7. Con i loro visi luminosi e divertiti. Anche i professori mangiano il gelato. Sì i professori fanno tutto quello che fanno gli altri uomini. I ragazzi pensano che noi siamo professori prima che uomini e vederci con il viso sporco di cioccolato li proietta in un mondo meraviglioso in cui i professori sono persone normali come loro: mangiano gelato, vanno al cinema, giocano a calcio, suonano la chitarra...
Bisbigliano, sorridono, chiedono, rispondono. E la loro vita passa dentro la tua. E la tua dentro la loro. E non sai come, ma percepisci cosa è diventare padre. O madre. Ed è il motivo per cui insegnare è un mestiere impagabile (oltre al fatto che realmente non viene pagato...).

Living Room 1

Ingredienti: un gruppo di amici tra i 19 e i 30 anni, un soggiorno spazioso, uno sceneggiatore, un televisore con lettore dvd. Mescolare per 3 ore. Lasciare riposare.
Ecco la ricetta per Living Room. Abbiamo cominciato ieri sera. Titolo della serata: "La donna che vorrei essere. La donna che vorrei avere". La prima di tre serate alla scoperta dei segreti del successo delle serie americane. Ieri abbiamo cominciato con la prima puntata di "Sex and the city", si continuerà con la prima puntata di due nuove serie non ancora giunte in Italia: Cashmere Mafia e Lipstick Jungle.
Si proseguirà con altri temi: sempre a partire dalla visione di puntate di serie tv o film.
Tre Oscar assegnati durante la serata.
1) Miglior amico: ad un ragazzo venuto da Lugano per partecipare, sulla sua 500 bianca.
2) e 3) Miglior organizzazione e miglior tiramisù: alla moglie e alla sorella del padrone di casa che hanno reso tutto accogliente e familiare.
Temi emersi dopo la visione: la morte del principe e della principessa azzurra, l'amore pendolante tra romanticismo e cinismo, i rapporti affettivi come rapporti di potere, la donna chiamata a diventare più uomo dell'uomo... In un clima disteso e sorridente tutti hanno dichiarato di volere essere felici e si sono detti convinti che questo dipenda in gran parte dall'amore. Ma quale? Lo si scoprirà nelle prossime puntate...
Vite diverse che si incontrano in un luogo comune eliminando luoghi comuni.
Tre ore volate in quel tempo senza tempo che i legami veri sanno inventare.

ps. la ricetta può essere modificata a piacimento...unico ingrediente da non trascurare: è gratis!

giovedì 27 marzo 2008

Intermezzo paradisiaco

Interrompo il flusso tematico del blog per un intermezzo.
Il blog è in linea da quasi 15 giorni. Ha raggiunto la soglia di mille contatti. Mi arrivano mail e post di tanti e tante conosciuti e non. Voglio ringraziare tutti. Qualcuno mi fa notare un tocco di narcisismo. E in parte ha ragione: è un mio difetto. Dico in parte perchè spesso è solo un entusiasmo per la vita e le persone tale da poter essere percepito come autoincensazione. Stop.

Sono dell'idea che ogni persona che incontri è un dono e un messaggio. E ogni persona che sta partecipando, anche silenziosamente, conferma la mia convinzione.
Silenziosamente. Già. Ieri durante l'happy hour bevevo una pepsi (la coca non c'era, ma la pepsi è come la coca sgasata, che è uno dei doni migliori che l'uomo si è fatto...) con un amico che mi parlava del suo cuore ferito. Dopo aver letto alcuni post del blog si era sentito incoraggiato a confidarsi. In qualche modo la scrittura accorcia le distanze. Abbassa le difese. Crea un luogo in cui ci si trova e ci si sente capiti: forse semplicemente perchè ci siamo presi del tempo per ascoltarlo questo benedetto cuore che abbiamo dentro. E non c'è niente di virtuale. Perchè ieri il mio amico ed io eravamo uno di fronte all'altro a raccontarci pezzi di vita più o meno dispersi nel grande puzzle dell'esistenza... Ed era un happy hour: un'ora felice, un'ora di paradiso in mezzo alla città grigia ed anonima.

mercoledì 26 marzo 2008

Tema in classe 1

Da un tema di un'alunna sedicenne:

Una delle canzoni che preferisco è "A te" di Jovanotti: una dichiarazione d'amore fatta con parole semplici, ma stupende. La frase che preferisco è: "a te che sei l'unica amica che io posso avere", che esprime esattamente quello che intendo come compagno. Mi piace molto anche quello che dice Susan Sarandon nel film "Shall we dance?" definendo la persona sposata come un testimone della vita del coniuge, che non passerà inosservata perchè ci sarà qualcuno che la noterà.

Dedicato a coloro che ignorano cosa vogliono in amore.
Dedicato a coloro che disperano per i giovani d'oggi.
Dedicato a coloro che minimizzano la cultura dei giovani fatta di musica e film.
Dedicato a coloro che dimenticano di prendere lezioni da questi giovani.
Dedicato a me, per non dimenticarmelo.

martedì 25 marzo 2008

Elogio della noia

Entro in classe. Gli occhi vitrei dei miei alunni sono specchi impermeabili. Occhi annoiati. La scuola è una noia. I grandi sono una noia. Lo studio è una noia. Ma anche questa festa è una noia. Questo ragazzo è una noia. Questa ragazza pure. Insomma la noia è il nemico mortale delle nostre giornate. La noia che ti prende sia quando lavori sia quando sei in vacanza. Anzi a volte ci si annoia di più in vacanza che al lavoro. Quindi la noia non dipende da quello che si fa, ma è una condizione del cuore. Esiste un antidoto? Se avessimo la pozione anti-noia la nostra vita sarebbe uno spasso continuo. E allora il prof deve inventarsi qualcosa. O semplicemente restituire la meraviglia agli occhi vitrei e impermeabili dei suoi ragazzi. La noia non è altro che un preziosissimo indicatore: non stai vivendo tutta la vita che c'è da vivere, la tua vita non è all'altezza della vita vera. Manca qualcosa. Due strade per la soluzione.
La prima facile, immediata, ma incerta: cercare un'emozione forte che mi tiri fuori dallo stato "annoiato". E allora: compro qualcosa di nuovo, mi sballo... Ma finito l'effetto "adrenalina" ritorno alla noia di prima, che però è diventata più profonda, perchè sono caduto da più in alto. E mi sento ancora di più non all'altezza...
Seconda soluzione: mi fermo e mi chiedo cosa mi manca? Cosa manca alla mia vita per essere all'altezza di sè stessa? La risposta è sempre: manca la meraviglia. E la meraviglia sta in ciò che è nuovo. Ma non in senso temporale: l'ultima cosa che è uscita (l'ultimo film, l'ultimo paio di scarpe... insomma il nuovo della pubblicità). Ma il "nuovo" come: ciò che sa darmi sempre di più di quello che è. E dove si trova? Un po' nella realtà, un po' nel cuore che sa accoglierla: un amico vero, un grande romanzo, un panorama, il quadro di un grande artista, un progetto da realizzare, Dio... e chi più ne ha più ne metta. Allora il prof per scrostare la patina di noia vitrea e impermeabile sugli occhi degli alunni non cerca gli effetti speciali, che sanno di finto, come nei filmoni americani... ma cerca la piccola meraviglia di qualcosa che è molto di più di quello che appare: una poesia, un racconto, un progetto... Insomma quella gioia che tocca il cuore e che il cuore può conservare. Quella gioia che ti fa trattenere il respiro, come tutto ciò che desta meraviglia. E come dice il "filosofo" Hitch (quello del film): "nella vita non contano i momenti in cui respiri, ma quelli che ti tolgono il respiro". E gli occhi si illuminano. Ripartono.
Il prof ha capito che ciò che è vitreo e impermeabile è il cuore non gli occhi.
E allora viva la noia, se diventa il primo passo per un viaggio alla ricerca del cuore, e non un luogo oscuro da cui fuggire ad ogni costo, anche a costo di farsi male...

domenica 23 marzo 2008

FantaVersione 1

Sono stanco di sentir dire che i ragazzi di oggi sono pigri e senza fantasia. Sono stanco perché, osservatore privilegiato di questi interessantissimi bipedi compresi tra i 14 e 19 anni, constato giorno per giorno, proprio il contrario. Loro curvi su banchi verdi o blu, seduti per 5 ore di fila, quando fuori il sole impazza, pazienti, ci ascoltano; inchiodati alle loro sedie, mentre ogni fibra del loro essere freme per fuggire via. Ma sanno prendersi la loro rivincita. Sanno vendicarsi e dimostrarci quanto la loro mente sia fervida, accesa, ribollente di fantasia. In difesa di questi ragazzi io voglio dare una testimonianza. Saranno così, forse, definitivamente scagionati dalle accuse di accidia, pigrizia, scarsa immaginazione… Ed ecco come avrei tradotto io (sì povero e meschino di immaginazione) una favoletta greca che ho dato loro come compito in classe:

Non c’è luogo per l’empio (Esopo)

Un uomo, avendo commesso un assassinio ed essendo perseguitato dai familiari della vittima fuggiva. Giunto presso il fiume Nilo, poiché un lupo gli veniva incontro, preso dalla paura, si rifugiò su un albero, vicino al fiume. Ma vedendo una vipera che strisciava verso di lui, si gettò nel fiume. Qui un coccodrillo, cogliendolo di sorpresa, lo divorò. La storia ci insegna che per coloro che compiono il male non c’ luogo sicuro, né in terra, né in aria né in acqua.

Ed ecco il documento che libera i nostri ragazzi da ogni accusa: testimonianza inoppugnabile di fantasia, della quale nessun professore, con suo grande scorno, è dotato in questo grado.
Ecco la traduzione dei ragazzi, scelta fior da fiore nelle sue trovate più fulgide:

Chi uccide una persona, si accusa da sola e desidera uccidere l’uomo a causa del governo.
Un uomo inseguito dalla famiglia si uccise, venne perseguitato dai suoi stessi elementi e spingeva da sotto il suo corpo. Tutto ebbe inizio presso il fiume Nilo, alla nascita del quale, un lupo, invecchiato dalla paura stessa, salì lassù su un albero vicino al fiume, e avendo incontrato i suoi pesci, là si pulì. Ma colui che osservava vedendo una vipera, strisciò lungo l’albero e si gettò nel fiume. Qui, dopo essersi fatto carico della sua colpa, bacchettò un coccodrillo che lo aveva ospitato e lo divorò.
La favola ci insegna che se ci troviamo su una palma nei pressi del Nilo è meglio non buttarsi in acqua, perché l’adattarsi degli uomini non è al sicuro né sulla terra né in un po’ d’acqua ed è meglio stare in alto nell’aria con sicurezza a goccia.

Grazie ragazzi perché siete capaci di regalarci i sorrisi di cui a volte noi prof (anche 2.0) non siamo capaci…

sabato 22 marzo 2008

Filosofia della borsa

Riporto la favola raccontatami da una persona a me cara (un Esopo del XXI secolo) che mi ha fatto riflettere:

Vedo una bellissima borsa in una vetrina.
Inizia tutto con un colpo di fulmine. Mi convinco che non posso vivere senza, che è proprio quella che desideravo. La borsa che ho cercato in tutte le altre mille borse che ho già comprato.
Poi ripasso una seconda volta davanti alla vetrina.
Sento il desiderio di rivederla di nuovo, perché ogni giorno non ho fatto che pensare a lei, ad ogni dettaglio, a quanto sia perfetta. Questa volta ho un occhio più razionale.... riesco ad apprezzarla nei suoi dettagli, al di là dell'emozione della prima scoperta.
La terza volta è decisiva: o mi piace e la compro o mi delude e me la scordo all'istante.

Morale? Non sempre quello che desideri è realmente quello che vuoi o che ti serve.
Spesso desideri una borsa, ma quello che vuoi è vivere una fantasia che ti faccia sentire meglio in un momento in cui sei un po' triste.
Oppure desideri una borsa perché effettivamente vuoi quella borsa.
Non puoi saperlo subito.
Devi darti tempo.

PS. Noi uomini ci chiediamo sempre perchè "la borsa" sia così importante per una donna. Sembra solo un contenitore di oggetti. In realtà come la favola mostra è una sintesi della casa e una metafora dell'intera vita...

venerdì 21 marzo 2008

Il punto di vista delle cose (Brevi storie d'amore e disamore) - 3

III

Pur di rimanere con lui sopportai a lungo. Poi la consuetudine divenne usura. Mi esaurii. Smettemmo di passeggiare e di parlare. Tacemmo troppo a lungo per ritrovarci. Qualcosa dentro di me si spezzò definitivamente e rimasi paralizzata. Non sentii più quel calore che poteva guarirmi. Il calore delle sue mani sul mio corpo di metallo dorato di PENNA.
FINE

Il punto di vista delle cose (Brevi storie d'amore e disamore) - 2

II

Mi voltai.
Vidi le nostre tracce nella distesa bianca: la scia di un serpente sulla sabbia. Accarezzavamo la superficie spezzandola in due: era l’acqua che entra nella farina, quando si fa pane. Mi prese per i fianchi, come era solito fare. Sentii la sua mano esperta scivolare su di me e poi dirigermi forte. Il sangue mi salì alla testa, come tutte le volte che sento il calore delle sue dita. Non diceva nulla, mi guidava in un gioco di bambini. Tutto era nei suoi gesti, precisi. A volte incerti.
A tratti si fermava e rimaneva in silenzio, a lungo. Immobile. Se trovava le parole, non le diceva. Rimanevano chiuse dentro un gesto, o qualche altro passo. Non comprendevo e non mi importava. Mi bastava stargli accanto e percepire il calore della sua mano, che mi reggeva senza lasciarmi cadere. Ecco di cosa avevo paura. Cadere.
Godevo quando andavamo senza soste, come se avessimo una meta ben precisa. Ma entrambi sapevamo che la meta era il nostro andare, nella distesa immacolata, scrivendo i nostri passi sulla superficie e scoprendo, solo alla fine, il risultato di ciò che avevamo fatto, come se ne fosse la cifra. Eravamo uniti come nella foga gli amanti. Strade erano i nostri passi. Trasformavamo i muscoli in anima.
Poi però cambiava improvvisamente percorso. Ma come faceva a sapere?
Mi amava ma non me lo aveva mai detto. Non aveva voluto. Forse per timidezza o forse per quella consuetudine così lunga, che era sempre stata un’amicizia, e sembrava volgare, quasi spudorato, divenisse qualcos’altro. Ero stanca e ci fermavamo a riprendere fiato. Un male segreto mi svuotava. Lo sapeva, ma fingeva distacco.
Lo odiavo. Mi lasciava lì sola per minuti, ore, a volte giorni, come se non contassi nulla e poi mi accompagnava in una nuova passeggiata, riprendendo il discorso esattamente al punto in cui lo avevamo lasciato.

Un giorno esplosi: perché lo fai?
Scrollò le spalle e disse: Mi riesce bene!
(fine seconda puntata)

mercoledì 19 marzo 2008

Il punto di vista delle cose (Brevi storie d'amore e disamore) - 1

I

Mi prese per la prima volta e fu evidente: era il mio uomo.
Altri ne avevo conosciuti. Dalle dita affusolate, rudi, nervose, vigorose. Distinguevo gli uomini dalle mani. Le mani, in un uomo, sono la versione carnale dell’anima. Ne avevo conosciute, ma nessuna come le sue. Altre mi usavano o mi avevano usato. Mi ero prestata al loro gioco: il rischio di una storia al suo nascere. Poi ti svegli e capisci che ti sta usando ed è finita. Con le sue mani fu diverso.
Cosa avevano le sue mani? In quanto mani erano molto comuni, ma ti mettevano in contatto con la sua anima direttamente. Erano trasparenti. Era capace di amarmi esclusivamente con le mani. Amare con le mani è un segreto che pochi conoscono: imprevedibili e sicure. Un miscuglio difficilmente distillato in natura e non volevo dileguasse.
Mi abbandonai alla passione con assoluta dedizione, a costo della schiavitù. Non m’importava. Ero disposta a pagare quel prezzo pur di averlo.
Cominciò a confidarmi i suoi segreti, le sue storie, i suoi dolori. La nostra intimità divenne assoluta.
(fine prima puntata)

lunedì 17 marzo 2008

Elogio dell'emoticon

Da quando esistono gli sms e msn ci siamo abituati ad affidare le nostre emozioni alle faccine o emoticons (emotion + icon: icona-emozione). I vecchi e noiosi professori si lamentano dell’impoverimento della lingua causato da questo fenomeno. Effettivamente l’uso della faccina semplifica il nostro linguaggio: se avessimo tanti aggettivi quante sono le nostre emozioni saremmo più attenti nel riconoscerle. Infatti i sentimenti per poterli riconoscere bisogna saperli nominare. E questo è il grande servizio che ci fa la buona letteratura (la poesia in particolare). Chi non legge infatti inaridisce, non solo intellettualmente, ma in primo luogo sentimentalmente. Non “sente” bene perché non sa neanche il nome dei sentimenti. Infatti se in un sms mi dico: ☺, potrei essere contento, euforico, felice, allegro, gioioso, beato, appagato, giulivo, favorevole, gaio, brioso, festoso, ridente, sereno, lieto, giocondo, spensierato, giocoso, entusiasta e chi ne ha più ne metta. Ma quale di queste possibilità è quella che voglio trasmettere? Una bella sfida potrebbe essere quella di provare a sostituire la faccina con l’aggettivo giusto (purché non si superino i 145 caratteri che fanno scattare il secondo messaggio e regalano altri 15 centesimi ai gestori ladri). Ma è anche vero che l’uso della faccina ci dice una grande verità. Nella comunicazione non “fisica” di sms e msn sentiamo il bisogno di recuperare il corpo e in particolare che parte del corpo? Il viso. Sì il viso. Perché? Perché il volto è il luogo in cui sono riconoscibili i sentimenti di una persona. Il volto è il luogo in cui anima e corpo combaciano. Il volto di una persona non è la semplice somma delle sue proporzioni geometriche più o meno equilibrate (come altre parti del corpo, che non associate ad un volto sono molto simili tra loro…), ma è il luogo in cui l’anima e il cuore di una persona emergono. Si arrossisce in volto. Si sorride con il viso intero. Si piange con il volto. Insomma i sentimenti si dipingono sul volto. L’emoticon dimostra il bisogno che abbiamo di toccare l’anima altrui per poter comunicare davvero. E a volte un sms e msn non ci aiutano in questo e così ricorriamo all’emoticon, anche se forse per comunicazioni importanti sarebbe meglio parlare di persona. Rimane imbattibile il guardare - anzi l'ascoltare - il volto di una persona dal vivo. E di guardarci in viso c’è un grande bisogno. Di quanti sentimenti non mi sono accorto sul volto altrui, solo perché non ho saputo osservare e ascoltare quel volto…
Insomma viva l’emoticon, viva la capacità di nominare i sentimenti e le loro mille sfumature, ma soprattutto viva il volto reale delle persone…

:-) :-( :'( :-| :-D ;-) :-))) :-p :-O :-S :* :-@

domenica 16 marzo 2008

Ho sparato al Piccolo Principe...

Un ex pilota tedesco di 88 anni, Horst Rippert, ha detto di aver abbattuto il 31 luglio del 1944 l’aereo dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupery, nel sud della Francia. Il corpo dell’autore del Piccolo Principe non è mai stato trovato e il relitto dell’aereo era stato individuato davanti alla costa di Marsiglia. L’anziano pilota di caccia tedeschi quel giorno (aveva 24 anni) avvistò l’aereo francese e mirò “sulle ali" sparando diversi colpi, fino a quando non lo vide cadere in mare. “Ho saputo qualche giorno dopo che era Saint-Exupery. Ho sperato, e spero ancora che non fosse lui. Da ragazzi lo abbiamo letto tutti, adoravamo i suoi libri. La sua opera ha fatto nascere la vocazione in molti di noi. Se l’avessi saputo non avrei sparato, non su di lui".

Paradosso: "lo adoravo e gli ho sparato". Logica illogica della guerra. Un aereo anonimo abbatte un aereo anonimo, i due aerei sono pilotati da due uomini che senza saperlo si conoscono, anzi l'assassino "adora" la sua vittima. Ma i loro scafandri di ferro li rendono anonimi, sconosciuti, nemici.
Tutto ciò che ci rende anonimi (letteralmente: senza nome) ci disumanizza. Per eliminare un uomo occorre renderlo irriconoscibile come uomo: è l'anestesia necessaria a non sentire la vita che gli scorre dentro. I bambini mai nati non hanno nome. I detenuti un tempo avevano divise uguali ed erano numeri. I soldati morti vengono spesso ricordati come "militi ignoti". Chi provoca morte o fa del male a qualcuno ha bisogno dell'anonimato della vittima. Non a caso una bambina di 6 anni definiva così l'amore: "quando il tuo nome è al sicuro sulla bocca di qualcuno"... e forse per questo nell'Apocalisse si racconta che alla fine dei tempi ad ogni uomo sarà donato un sassolino bianco con su scritto il suo vero nome, quello che solo Dio dice di conoscere...

venerdì 14 marzo 2008

Ci ha cambiato la vita...

Mi aggiro per le vie della città. I cani pisciano sui muri fino a farli piangere. Le mie adidas nere e rosse, fiammanti, sfiorano l'asfalto mandando segnali di identità a coloro che sono sensibili ai marchi. Tre ragazzi: due ragazze e un ragazzo si staccano da un muro e esclamano "Prof!". Alunni incontrati durante una supplenza. Hanno sguardi caotici e marche tatuate sul corpo. Li riconosco e sorrido.
"Prof. lei ci ha cambiato la vita!".
Arrossisco.
"Io non cambio la vita a nessuno. Siete voi che la cambiate".
"No. E' così prof!".
Cambio discorso prima che la mia sindrome da Keating (il prof. dell' Attimo Fuggente mio-film-preferito) prenda il sopravvento. Ci scambiamo qualche frammento di vita prima di congedarci.
Riprendo a camminare e rimastico la parole: "ci ha cambiato la vita".
Una supplenza di poche ore di italiano.
Ci ha cambiato la vita.
Ho per le mani l'elemento naturale più prezioso e delicato che esista su questa terra: la fibra del cuore dei giovani.
Cambiare la vita. Eppure loro sono sempre gli stessi. Cosa è cambiato realmente?
Il modo di vederla questa vita. Questo ho trasmesso loro: la vita è meravigliosa come diceva un film (altro-mio-film-preferito) e ha un senso checchè ne dica Vasco.
Perchè lo dimentichiamo? e perchè lo dimenticano coloro che, per età, lo sanno meglio?
Non faccio in tempo a soffermarmi sulla voce di folla delirante che ripete dentro di me: "o capitano mio capitano" che la mia rutilante adidas è sprofondata dentro una soffice merda di cane...
Per fortuna la realtà, anche quella più maleodorante, sa cambiarti la vita... E allora sorrido. Sono solo uno con la scarpa firmata di merda di cane, ma ho la fortuna "tremenda" di poter cambiare la vita alle persone...
Chi devo ringraziare?