Lo spirito del blog - La vita: commedia o tragedia?

Questione di inquadrature. La commedia è la vita in campo lungo e la tragedia la vita in primo piano. Se inquadri da lontano un uomo che cammina per strada e scivola su una buccia di banana, è divertente. Ma se ti avvicini, non è più divertente perchè si vede il dolore... Per comprendere la mia vita e quella altrui mi sforzo di osservare sempre attraverso la doppia inquadratura... Così quando prendi qualcosa troppo sul serio riesci magari anche a riderne e a conservare il buon umore... E invece quando prendi qualcosa troppo poco sul serio scopri che devi fermarti e comprenderla...

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giovedì 25 giugno 2009

Dio non c'è, Dio non mi vuole

Di ritorno dalla mia fuga mediterranea ho trovato una mail che diceva semplicemente:

"Dio non c'è, Dio non mi vuole"

Perché facciamo così fatica a trovare chi è più intimo a noi di noi stessi?
Perché non riusciamo a percepire colui che conosce la nostra oscurità e solitudine meglio di noi stessi e la ama più di noi stessi?
Perché noi che a tutti i costi vogliamo amare non troviamo l'Amore?

Un amore cresce solo se gli diamo spazio e tempo.
E la solitudine del silenzio che non riusciamo a sopportare è la porta dietro cui si nasconde Dio.

Dio non solo c'è. Dio c'è per me.
Dio non solo mi vuole. Dio mi vuole bene.

Ma come in ogni amore ci vuole il coraggio di dire: metto la mia vita nelle tue mani.
Ci vuole il coraggio di sostare davanti a quella porta e bussare.

martedì 17 febbraio 2009

San Valentino al contrario

Una telefonata disperata. Due cari amici fidanzati in grave crisi. La dura e dolorosa verità che viene a galla. La difficoltà di accettarla questa verità e lasciarsi. La paura di rimanere soli. Dolore da entrambe le parti. Tanto dolore. Dopo tanti sogni... Dopo tanto tempo...

Rifletto in silenzio, cercando di trovare le parole che possano dare un aiuto. Ma trovo solo la crudezza della verità. Sì perché quello che dovrei avere il coraggio di dire è che due solitudini non fanno una storia d'amore, ma una solitudine più grande...
***
"... i tuoi vili tentativi di illuderti sull'amore quando sai perfettamente, al pari di me, che tra noi non c'è mai stato altro che disprezzo e sfiducia e una terribile, morbosa dipendenza della nostra reciproca debolezza".
R.Yates, Revolutionary Road

giovedì 22 gennaio 2009

Canta che ti passa!

Milioni, miliardi di canzoni invadono il mondo ogni giorno. Proprio ieri un'alunna mi ha segnalato un video di una canzone da lei amata. I ragazzi comunicano attraverso le canzoni. Stranamente però si canta poco. Si ascolta molto, si canta poco. A me chi canta fa una grande simpatia. Spesso mi sorprendo a cantare per strada o nei corridoi di scuola e credo mi prendano per pazzo. Ma cantare è segno di sanità mentale: ottimismo e gioia ne sono la causa. Sarà un caso che ci riferiamo a persone tristi dicendoli dei "disincantati". L'origine della parola ha a che fare con l'essere colpiti da incantesimo (incantato) spesso pronunciato sotto forma di canto. Insomma chi rimane senza canto, rischia di rimanere disincantato. Perde la magia del quotidiano da cantare: amore, lotte, passioni, dubbi, sconfitte, gioie, vittorie.
Le persone troppo serie non si reggono. Così come le persone che si prendono troppo sul serio e quelle che non cantano mai, anche se sono stonate. E l'adolescente che si rifugia nella musica forse non sta fuggendo dalla realtà come spesso gli diciamo. Ma semplicemente si rilassa e si gode le cose belle e (magari) le canta. Questo non è mancanza di responsabilità.
Tra i ricordi più belli che ho ci sono serate passate a cantare con familiari e amici sotto le stelle, vicino al mare. Perché non lo facciamo più? Una canzone insieme dopo cena chissà da quanti litigi inutili ci salverebbe o da quali inutili programmi televisivi. La musica sempre più la si ascolta e la si consuma, sempre meno però la si canta.
Canta solo chi è innamorato. Un'epoca disincantata, un'epoca che non canta, è un'epoca dal cuore spento.
***
Chi è nato per cantare
Anche morendo canta.
(G.Ungaretti)

domenica 18 gennaio 2009

Nonna 2.0

All'alba Nonna 2.0 è tornata tra le braccia di Dio.
Dopo anni di sofferenze dovute ad un ictus che l'aveva bloccata a letto.
Quanto amore ha suscitato la sua malattia! Quante cure ha richiesto la sua debolezza!
Lei che da ragazza faceva girare la testa ai ragazzi per la sua altezza ("altezza mezza bellezza!" ripeteva spesso orgogliosa) era ormai diventata piccola come una bambina. Lei che aveva una mente lucida fino alla pignoleria (prodigiosa nel fare i conti) negli ultimi tempi ripeteva spesso le stesse cose o le dimenticava nel giro di pochi secondi. Lei che era stata un'insegnante (e le devo parte del mio DNA) ci ha dato con la sua pazienza la lezione migliore.
Chi le è stata vicino (io purtroppo poco) sino all'ultimo l'amava così come era. Lei non sapeva né poteva fare più nulla. Eppure la amavamo di più. Ripeteva che non sapeva fare più nulla e faceva più di tutti.
Ancora una volta comprendo meglio come la famiglia sia il luogo in cui si è amati per quello che si è e non per quello che si fa. E il difendere e l'amare quello che si è sino alla fine è ciò che non solo fa grande una famiglia e la rende unita, ma è una fonte di amore capace di fare toccare il cielo ai componenti.
E la nonna "l'infinito mare dell'essere" non solo lo tocca, ma ci nuota dentro.
Nelle ultime ore ripeteva spesso: "Chiamami, Gesù".
Chi crede non muore, nasce due volte.

Nonna, adesso nuota libera, felice, per sempre.
Nonna (tu che eri insegnante come me), adesso proteggimi.

martedì 13 gennaio 2009

Ettore

Il personaggio che amo di più nell'Iliade è Ettore. Forse la grandezza dell'Iliade sta nel fatto di entrare con profondità tutta nuova nel cuore dei vinti, degli sconfitti. All'altisonante e a volte ridicola iattanza di Agamennone, Achille, Diomede e persino Ulisse, fa da contraltare la grandezza tragica di Ettore e la sua famiglia. Oggi abbiamo letto in classe il passo in cui, egli, sicuro di morire e schiacciato dalla responsabilità per il suo popolo, incontra la moglie e il figlio. Alcuni ragazzi, e non scherzo, si sono commossi: quando Andromaca, che ha perso padre, madre e fratelli a causa di Achille, dice al marito "tu sei per me padre e nobile madre e fratello; tu sei il mio sposo fiorente"; quando Ettore ancora sporco dalla battaglia e armato cerca di abbracciare il figlio che si ritrae spaventato e solo quando il papà si è tolto l'elmo chiomato si lascia abbracciare e baciare; quando Ettore porge il figlio alla moglie e lei "sorride in mezzo al pianto e lo sposo si intenerisce a guardarla, l'accarezza con la mano" e le dice "il fato, ti dico, non c'è uomo che possa evitarlo, sia valoroso o vile, dal momento che è nato". Tutta la tragedia è concentrata nel cuore di Ettore, schiacciato tra la responsabilità, la sete di gloria, il fato a cui non può sottrarsi e la nostalgia infinita del figlio e della moglie.
Rileggete il libro VI dell'Iliade dal verso 369 al 502 (o magari tutto...). Forse direte come Alunnasensibile "Prof mi ha messo una tristezza infinita": avrete detto la cosa giusta.

Io sto con Ettore, eroe malinconico, come tutti noi, quando siamo costretti a combattere e, nostro malgrado, a perdere quello a cui teniamo di più.
Un giorno se ci riesco gli dedico un racconto...

lunedì 19 maggio 2008

Terapia antidepressiva: la bellezza

Da "La mia storia con Mozart", di E.E. Schmitt.
L'autore racconta il suo incontro di quindicenne aspirante suicida con la musica di Mozart:

"Sì nella sala irrompeva la bellezza, tutta la bellezza del mondo; era là davanti a me, mi veniva regalata... l'unica cosa di cui ho memoria è che da quel momento sono guarito. Addio sconforto! Addio depressione! Volevo vivere. Se al mondo c'erano cose così preziose, così piene e così intense, l'esistenza mi attirava... "Avrò il tempo di scoprire tutte le meraviglie che rigurgita il pianeta?... Mozart mi aveva salvato: non si abbandona un universo dove si sentono cose così belle, non ci si suicida in una terra che dà frutti come quelli e altri frutti simili. La guarigione attraverso la bellezza. Agli psicologi non era venuto in mente di guarirmi con questa terapia. Mozart aveva inventato la cura e me l'aveva somministrata. Come un'allodola che vola alta verso il cielo, uscivo dalle tenebre, mi libravo nell'azzurro. Mi ci rifugio spesso".

Bisognerebbe avere sempre a portata di cuore il proprio catalizzatore di azzurro (di qualunque natura sia ha sempre a che fare con l'amicizia), per quando naufraga nel grigio indistinto e piovoso di Shit City e si riduce ad un semplice muscolo striato involontario...