Lo spirito del blog - La vita: commedia o tragedia?

Questione di inquadrature. La commedia è la vita in campo lungo e la tragedia la vita in primo piano. Se inquadri da lontano un uomo che cammina per strada e scivola su una buccia di banana, è divertente. Ma se ti avvicini, non è più divertente perchè si vede il dolore... Per comprendere la mia vita e quella altrui mi sforzo di osservare sempre attraverso la doppia inquadratura... Così quando prendi qualcosa troppo sul serio riesci magari anche a riderne e a conservare il buon umore... E invece quando prendi qualcosa troppo poco sul serio scopri che devi fermarti e comprenderla...

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lunedì 12 gennaio 2009

Una sedia

Questa meravigliosa foto di sorella-desperatehousewife mi ha fatto tornare in mente una pagina che avevo scritto qualche tempo fa per fratello-happydays: una sorta di capitolo spurio del Piccolo Principe.
***
Nel pianeta successivo il piccolo principe vide una sedia. Era vuota. Il piccolo principe non aveva mai visto una sedia e si avvicinò. Senza saperlo quello che fece fu sedersi. Era su una spiaggia e la sedia era rivolta verso il mare. Si sedette tenendo le gambe sollevate, stringendole tra le braccia. Riusciva a stare tutto rannicchiato come una noce. Chiuse gli occhi. Si sentiva solo il rumore della schiuma. Il vento arruffava i capelli mai pettinati.
Rimase in silenzio ad ascoltare.
“Cosa fai tu sulla mia sedia?” – lo interruppe spaventandolo una voce.
Era un uomo dai piedi scalzi. Abbronzato dal sole e levigato dal vento.
‘Sono strani i grandi’ pensò il piccolo principe. Usano sempre la parola mio, anche quando non ce n’è ragione. Li fa sentire più sicuri.
“Scusami, ma non sapevo fosse una sedia” – rispose all’uomo che lo fissava.
“Non sapevi che fosse una sedia? – disse l’uomo dagli occhi neri – ma da dove vieni, dalla giungla?”
“No, non conosco quel pianeta... Vengo dal mio asteroide. Lì ho lasciato la mia rosa” - rispose il piccolo principe.
“Ah capisco…” - disse l’uomo incerto.
“Cosa è una sedia?” - chiese allora il piccolo principe.
“La tua domanda è alquanto inadeguata, ragazzo!” - rispose l’uomo.
“Perché? Mi sembra la più importante, perché io la prossima volta ne faccia buon uso… - ribattè il piccolo principe – ma tu perché dici cose così complicate? Sarebbe più facile rispondere… Chi sei?”
“Sono un filosofo” - rispose l’uomo chiudendo gli occhi fino a ridurli una fessura.
“Un filosofo e una sedia. Adesso sono due le cose che non conosco…” - disse il piccolo principe un po’ preoccupato.
“Il filosofo è chi ama la sapienza. La sapienza è la conoscenza profonda delle cose” – disse l’uomo della sedia.
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano” - rispose il piccolo principe “l’ho imparato dalla volpe. Ma non mi aveva detto di essere filosofo. E’ più simpatico volpe di filosofo. E’ più facile almeno…”.
“Anche tu sei un filosofo. Sai già tutte queste cose alla tua età. Si conoscono solo le cose con le quali creiamo dei legami – disse il filosofo e continuò – e per i legami ci vuole tempo”.
“Anche questo mi ha detto la volpe. Dovevo tornare da lei tutti i giorni alla stessa ora; prima in silenzio, poi a poco a poco aggiungere una parola. Poche parole ogni giorno. Così l’ho addomesticata. Così siamo diventati amici” - disse il piccolo principe scrutando il volto dell’uomo.
“Quindi la tua domanda sulla sedia era inutile…come ti avevo detto…”- rispose l’uomo in un sorriso.
“Non capisco, signor filosofo” - rispose il piccolo principe, ricambiando il sorriso.
“Una sedia è il luogo necessario ad addomesticare tutte le cose. Ti metti lì davanti a ciò che vuoi addomesticare. In silenzio. E ogni giorno si aggiunge una parola. Senza una sedia è impossibile diventare filosofi” - disse l’uomo.
“Ne farò una sul mio pianeta. Voglio essere filosofo anche io. Per prendermi cura di tutte le cose del mio pianeta. Non sapevo che si potessero ascoltare così…” - disse il piccolo principe – “Tu da cosa hai cominciato?”.
“Dal mare. Dalla sabbia. Dal vento” – rispose l’uomo.
“E sei riuscito ad addomesticarli?” – chiese il piccolo principe preoccupato.
“E’ troppo presto per raccontarlo. Troppo lungo…” rispose l’uomo.
“Beh ma allora a che ti serve la tua filosofia?” – chiese il piccolo principe.
“Se hai pazienza ti insegno a costruire una sedia” – rispose l’uomo disegnando delle figure sulla sabbia con il piede.

sabato 6 dicembre 2008

Lezioni di silenzio

Sulla scorta di una suggestione letta da qualche parte, vorrei introdurre a scuola delle lezioni di silenzio. La teoria è contenuta nell'incontro tra la volpe e il piccolo principe. La volpe insegna al piccolo principe che il segreto per conoscere cose e persone è addomesticarle. Addomesticare vuol dire "essere molto pazienti... in principio tu ti sederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non mi dirai nulla...Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino...".
Oggi non conosciamo più le cose e le persone perché non le addomestichiamo.
Stiamo più tempo su msn che faccia a faccia.
Stiamo più su facebook che su una panchina con un amico.
In silenzio. Mezz'ora in silenzio ad addomesticare il cielo, un albero, una rosa, un amico, un'amica, un fratello, una sorella, Dio.
Ogni giorno qualche centimetro più vicini.
Cosa ci guadagni?
Il colore del grano. Il cielo. Un albero. Una rosa. Un amico. Un'amica. Un fratello. Una sorella. Dio...
...tutto quello che non si compra al mercato.

***
Il dramma degli uomini è non trovare mezz'ora di silenzio ogni giorno
(Blaise Pascal)

martedì 28 ottobre 2008

Una cartolina dalla Grecia

Sull'anta a vetri che chiude la mia libreria appendo alcuni oggetti che mi aiutano a ricordar quello che voglio avere a cuore (scordare infatti significa "uscire dal cuore"). Così accanto ad un piccolo dipinto di mare e barche che mi riporta ad Itaca e in particolare al mio neo-nipotino, accanto agli auguri di qualche natale fa di un vecchio amico e al simbolo della metropolitana di Londra (a memoria del recente soggiorno inglese), ho aggiunto la cartolina che i miei alunni mi hanno portato dalla Grecia. La cartolina non è un capolavoro estetico, ma non importa, non è quello il verso visibile dalla mia scrivania, ma quello delle loro firme accompagnate da simboli come cuori, stelle, sbuffi...
Oggi in classe parlavo loro di responsabilità a partire dall'origine della parola: dal latino respondere. Essere responsabili è rispondere personalmente, dicendo "io", in questa precisa circostanza, senza scappare, senza accampare scuse. Per questo non salto mai l'appello in classe, perché più che una verifica militaresca dei presenti è una richiesta di responsabilità. Pronuncio solennemente il nome e guardo negli occhi l'alunno e aspetto che mi dica qualsiasi cosa, purché dichiari la sua presenza responsabile, il suo voler rispondere e farsi carico di quelle ore. E così colleziono, insieme ai loro sguardi sgomenti, tutta la gamma di dichiarazioni di responsabilità: ci sono, esisto, qui, presente, eccomi... Senza questi attestati più o meno convinti di accettazione del presente sarebbe impossibile iniziare la lezione, anzi inizia così.
Quei nomi sono scritti sulla cartolina greca e tutte le volte che la guardo, fitta di nomi, mi sento interpellare, come fosse un appello: E tu prof? e rispondo: Eccomi! Presente! Perché sono in parte responsabile di quei nomi e voglio rispondere per ciascuno di essi: eccomi, ci sono, farò il possibile per te, nonostante i miei limiti.

***

"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripetè il piccolo principe per ricordarselo.
A. de Saint.Exupéry, Il piccolo principe

domenica 16 marzo 2008

Ho sparato al Piccolo Principe...

Un ex pilota tedesco di 88 anni, Horst Rippert, ha detto di aver abbattuto il 31 luglio del 1944 l’aereo dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupery, nel sud della Francia. Il corpo dell’autore del Piccolo Principe non è mai stato trovato e il relitto dell’aereo era stato individuato davanti alla costa di Marsiglia. L’anziano pilota di caccia tedeschi quel giorno (aveva 24 anni) avvistò l’aereo francese e mirò “sulle ali" sparando diversi colpi, fino a quando non lo vide cadere in mare. “Ho saputo qualche giorno dopo che era Saint-Exupery. Ho sperato, e spero ancora che non fosse lui. Da ragazzi lo abbiamo letto tutti, adoravamo i suoi libri. La sua opera ha fatto nascere la vocazione in molti di noi. Se l’avessi saputo non avrei sparato, non su di lui".

Paradosso: "lo adoravo e gli ho sparato". Logica illogica della guerra. Un aereo anonimo abbatte un aereo anonimo, i due aerei sono pilotati da due uomini che senza saperlo si conoscono, anzi l'assassino "adora" la sua vittima. Ma i loro scafandri di ferro li rendono anonimi, sconosciuti, nemici.
Tutto ciò che ci rende anonimi (letteralmente: senza nome) ci disumanizza. Per eliminare un uomo occorre renderlo irriconoscibile come uomo: è l'anestesia necessaria a non sentire la vita che gli scorre dentro. I bambini mai nati non hanno nome. I detenuti un tempo avevano divise uguali ed erano numeri. I soldati morti vengono spesso ricordati come "militi ignoti". Chi provoca morte o fa del male a qualcuno ha bisogno dell'anonimato della vittima. Non a caso una bambina di 6 anni definiva così l'amore: "quando il tuo nome è al sicuro sulla bocca di qualcuno"... e forse per questo nell'Apocalisse si racconta che alla fine dei tempi ad ogni uomo sarà donato un sassolino bianco con su scritto il suo vero nome, quello che solo Dio dice di conoscere...