Lo spirito del blog - La vita: commedia o tragedia?

Questione di inquadrature. La commedia è la vita in campo lungo e la tragedia la vita in primo piano. Se inquadri da lontano un uomo che cammina per strada e scivola su una buccia di banana, è divertente. Ma se ti avvicini, non è più divertente perchè si vede il dolore... Per comprendere la mia vita e quella altrui mi sforzo di osservare sempre attraverso la doppia inquadratura... Così quando prendi qualcosa troppo sul serio riesci magari anche a riderne e a conservare il buon umore... E invece quando prendi qualcosa troppo poco sul serio scopri che devi fermarti e comprenderla...

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domenica 10 maggio 2009

Alunni poco concentrati?

Una collega di matematica - in relazione al post del 7 maggio - mi ha mandato questo passo di un libro che ha letto recentemente. Lo pubblico a beneficio di tutti perché affronta in modo interessante l'annoso problema della concentrazione degli alunni:
"Tuttavia, le espressioni della vita vengono spesso considerate ingombranti in un quadro pedagogico. Così, un alunno che «sogna» in classe si espone a dure critiche. Gli si rimprovera di «non essere concentrato», con il pretesto che invece di appassionarsi alla moltiplicazione, al teorema di Talete o alle integrazioni di funzioni, pensa alle sue prossime vacanze, ai suoi primi idilli, ai conflitti che lo contrappongono ai genitori, al disaccordo con il suo migliore amico ecc.

Forse ci si dovrebbe piuttosto congratulare con lui? Ecco un alunno sano che non dimentica di vivere! Ma soprattutto, l’idea della «mancanza di concentrazione» mi pare inappropriata. Mi sembra invece che se un alunno prova il bisogno di immergersi nelle sue «fantasticherie», è spesso perché la materia studiata lo porta troppo lontano da lui stesso. Pensando alla propria vita, alle proprie emozioni, si concentra su se stesso: si ricentra. Così, non si dovrebbe dire che un alunno non riesce a concentrarsi, ma che non riesce a decentrarsi, ad allontanarsi da ciò che è per interessarsi alla lezione.


La tradizione, che contrappone ragione e sentimenti, emozioni e pensiero, «vera vita» e intelletto, è assai resistente. Il ragionamento intellettuale sarebbe per essenza freddo e privo di passione. Ricordo che questo principio costituiva il postulato di base di un test destinato a «misurare il quoziente intellettivo» dei bambini. Si sottoponeva loro un brano che narrava nei minimi particolari delle storie sgradevoli (di malattie, di incidenti, di feriti, non ricordo con precisione). Il bambino doveva lavorare su tale brano - riassumerlo, o forse rimettere le frasi in ordine, anche questo, curiosamente, l’ho scordato. Dato che, come giovane tirocinante psicologa, mi stupivo di quegli orrori, mi spiegarono che tutto l’interesse della prova stava proprio nel carattere sgradevole del brano: si trattava di testare la facoltà del bambino di prescindere dalle proprie emozioni per continuare a riflettere!


Che senso ha immaginare che il pensiero fiorisca quando la vita si ferma? Come sostenere per un attimo l’ideale dell’alunno «automa» che lascerebbe in spogliatoio ciò che è per arrivare a lezione come una pagina bianca, un recipiente vuoto, da riempire? Considerando le emozioni, il tumulto della vita come tante distrazioni, tanti contenuti indesiderabili di cui bisogna fare tabula rasa, si esalta un alunno fantoccio, inerte, morto".