Lo spirito del blog - La vita: commedia o tragedia?

Questione di inquadrature. La commedia è la vita in campo lungo e la tragedia la vita in primo piano. Se inquadri da lontano un uomo che cammina per strada e scivola su una buccia di banana, è divertente. Ma se ti avvicini, non è più divertente perchè si vede il dolore... Per comprendere la mia vita e quella altrui mi sforzo di osservare sempre attraverso la doppia inquadratura... Così quando prendi qualcosa troppo sul serio riesci magari anche a riderne e a conservare il buon umore... E invece quando prendi qualcosa troppo poco sul serio scopri che devi fermarti e comprenderla...

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lunedì 15 dicembre 2008

La mancia

Sabato ero a cena con fratello-walkertexasranger. Simpaticamente serviti da un cameriere che faceva il suo lavoro bene e col sorriso sulle labbra, gli abbiamo dato (cioè mio fratello...) una generosa mancia, soddisfatti del cibo e del servizio: saremmo sicuramente tornati.
La mancia... Usiamo espressioni che nascondono dietro la loro misteriosa e fredda superficie il calore e il colore della letteratura o della storia.
Quando diamo la mancia rievochiamo antichi riti amorosi cavallereschi. La mancia un tempo non era altro che "la manica" (dal francese manche) che la donna regalava al suo campione in segno di predilezione. Le maniche del vestito, un tempo staccabili (soprattutto per gli abiti femminili, da cui l'espressione "un altro paio di maniche", come si vede nell'immagine) si regalavano come pegno d'amore. Dare la mancia (manica) era favorire qualcuno, dichiarare simpatia.
Tutte le volte che diamo una mancia, riecheggiano le gesta di antichi tornei, in cui campioni armati conquistavano donne gentili che a loro si erano affidate "smanicandosi". Dietro una mancia un tempo c'era un cuore innamorato e l'eroismo di un cavaliere. Quel cameriere era diventato con la sua simpatia e professionalità il nostro campione, benché le sue armi fossero grembiule e menù. E noi (cioè mio fratello...) volentieri ci "smanicavamo" per lui. Così in una mancia persino la prosa del lavoro quotidiano diventa epica cavalleresca.
Ah le parole!

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho visto di tutto per sentirmi morire,
ciononostante vivo per soffrire,
ho alzato lo sguardo cielo sconfinato
e il mio cuore si è sentito come trascinato:
non c'è una parola per definire
ciò che si prova o si possa sentire
ma è certo che per volare davvero
bisogna che il cuore sia molto leggero

Anonimo ha detto...

Vorrei sapere, perchè molti insegnanti non fanno mai menzione dell' eziologia dei termini,o delle espressioni, che abitualmente utilizziamo?
Perdiamo qualcosa noi studenti,questo è certo,ma anche essi evitano di battere strade che potrebbero essere sorprendenti e stimolanti.
Ciao,Claire.

Prof 2.0 ha detto...

anonimo: volare è compatibile col peso. Guarda gli uccelli. Le loro ali pesano, eppure li tengono in aria.

claire: le parole... più le frequenti più le ami. I prof di lettere che non amano le parole non li capisco. Il prof deve professare, il prof di lettere deve avere quasi fede nelle parole, deve professarle. Sennò che prof è?